La vita in una terapia intensiva neonatale

Come si vive in un box di 10 metri quadrati. Benvenuto nel grande fratello ospedaliero, un acquario di luci e sensori attivi 24 ore.
España
13 Marzo 2023

La terapia intensiva è divisa in due parti, nella zona “Canguri” ricoverano i neonati meno gravi e in quella “Elefanti”, dove ci troviamo noi, vi sono i bebè in stato critico che hanno bisogno di monitoraggio e assistenza continua. La scelta degli animali ai quali intitolare le due zone non è affatto casuale.

I piccoli canguri escono dal ventre della madre in stato embrionale quando misurano solamente 2 cm e appena partoriti scalano dal ventre fino ad infilarsi nel marsupio materno dove trascorreranno 8 mesi. Una volta dentro, si attaccano al capezzolo della madre che dispenserà latte automaticamente visto che i cuccioli sono incapaci di alimentarsi autonomamente.

La gravidanza dell’elefantessa dura circa 21 mesi, è la più lunga tra tutti i mammiferi. Una volta nati, i cuccioli vengono accuditi sia dalla madre che dalle altre elefantesse del branco che continueranno a prendersene cura anche in caso di morte della madre. Questo è esattamente ciò che accade nella zona elefanti, dove un nutritissimo gruppo di infermiere, pediatri e chirurghi sono all’opera 24/7 per assicurare tutte le cure ai neonati.

Nella terapia intensiva ci sono circa 40 box. Si tratta di stanze di circa 10 metri quadrati, con una porta scorrevole di vetro che occupa una parete intera e che garantisce al personale medico la massima visibilità dalle loro postazioni e dal corridoio. E’ come vivere dentro un minuscolo acquario o un grande fratello ospedaliero. All’interno si trovano la culla termica o l’incubatrice e una serie infinita di ingombranti macchinari che garantiscono tutte le costanti vitali dei piccoli. Infine vi sono cavi, sonde, flebo e i temibili sensori acustici che avvisano in continuazione di ogni piccola variazione di rilievo nel paziente o dell’imminente esaurimento dei farmaci che si stanno somministrando.

Come racconto nel mio post precedente, viviamo in questo box, giorno e notte, da più di due settimane e probabilmente dovremo restarci per parecchie altre.  Evidentemente il più grosso fattore di stress e preoccupazione è lo stato di salute della piccolina. Ciò nonostante, l’assoluta mancanza di privacy, le luci accese 24 ore che illuminano a giorno il box e i rumori costanti dei sensori a tutte le ore si trasformano in un ulteriore nemico. I sensori prevedono diverse tipologie di avvisi acustici e luminosi a seconda della gravità e del tipo di avvertenza. Col tempo impari a distinguerli e a conviverci. Conciliare il sonno può risultare una missione quasi impossibile, ed è frequente essere svegliati di soprassalto da questo concerto di suoni e colori stridenti. Ma il vero termometro della gravità dell’avviso dei sensori è la reazione delle infermiere. Quando entrano in gruppo e a tutta velocità nel box, si tratta di qualcosa di serio che merita una reazione immediata, o di un falso allarme.

La buona notizia è che nel box vi sono un letto singolo e una poltrona reclinabile per poter riposare durante la notte. Ma non è tutto, grazie al regalo di un padre il cui piccolo è stato dimesso, ho potuto abbandonare la poltrona e dormire su 3 cuscini da pavimento futon che mi sono stati lasciati in eredità. Devo ammettere che i tanti anni passati in campeggio, con sistemazioni di fortuna, si sono rivelate un valido alleato per affrontare al meglio le notti precarie in terapia intensiva.  

Un altro giorno è volato via e per fortuna le condizioni della piccola sembrano migliorare sensibilmente giorno dopo giorno. I momenti di sconforto non mancano, ma nel complesso mi ritengo fortunato perché sento che lei uscirà dalla terapia intensiva pienamente curata ed io con uno sguardo nuovo che mi aiuterà a vedere il mondo con occhi diversi

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